
“Compresi che una parte di me stava già accettando la mia situazione lì dentro. In un certo senso mi stavo appropriando di un pezzetto di terra, quell’angolo in mezzo al nulla che all’inizio mi era risultato tanto ostile e che ora era mio. Fu una rivelazione scomoda e sconcertante.”
Sara ha un impiego temporaneo in un ufficio pubblico e studia per un concorso che dovrebbe assicurarle stabilità e sicurezza. Dal primo istante, però, si trova immersa in un ambiente vagamente minaccioso, fatto di mansioni fumose, regole contraddittorie e direttive insensate.
Cerca di adattarsi, ma la macchina burocratica inizia lentamente a soffocarla. Il disagio cresce in silenzio, tra momenti di sconforto e piccoli atti di resistenza: la scrittura, il disegno, la poesia, l’osservazione minuziosa diventano gli unici strumenti per non smarrirsi, finché un suo gesto inaspettato metterà in crisi l’intero sistema.
Con una prosa incisiva e implacabile, Sara Mesa coglie magistralmente le ridicole e grottesche storture dell’apparato amministrativo, consegnandoci un romanzo ipnotico e irriverente tra le cui pagine serpeggia un dilemma: adattarsi o ribellarsi? Scegliere la tranquillità o la libertà? Sottomettersi o fuggire?
Mesa denuda la scena – le scene – con una scrittura tesa che espone la minaccia del quotidiano senza sociologismi e intrattiene il lettore lasciandogli, alla fine del libro, il desiderio di saperne di più. – La Lettura
L’autrice esplora un territorio morale insidioso, un regno dell’ambiguità in cui il buono e il sinistro, l’accettabile e il riprovevole, la tranquillità e la minaccia si mescolano e si trasformano per indurre nel lettore un’inquietudine viva. – El Periódico